In seguito alla pubblicazione del mio articolo “Gravidanza surrogata, fra morale e diritto”, che ha ricevuto numerosi commenti ed è molto circolato in rete, una cara amica mi ha risposto in privato esprimendo le sue perplessità. Ne è nato uno scambio epistolare che, nonostante abbia il carattere del dialogo personale, abbiamo ritenuto di rendere pubblico, perché pensiamo possa dare un ulteriore contributo al dibattito sul tema. cs
Cara Cinzia,
mi viene spontaneo chiederti una cosa: ma come si fa a bandire qualsiasi considerazione di tipo etico-morale anche in un dibattito che riguarda i temi eticamente sensibili per eccellenza? Come fa un opinionista o un legislatore, che in quanto essere umano sicuramente si forma dei giudizi sulle cose, a tenere il suo “mondo morale” completamente segreto, staccato dalla sua vita pubblica? Secondo te è possibile che non ne venga influenzato nel suo lavoro? E soprattutto è giusto che sia così?
Se uno ha dentro di se’ delle convinzioni molto forti, ed anche dei sentimenti che si presentano puntuali a segnalargli che una cosa è bene o male, perché dovrebbe essere meglio ignorarli? Seguendo il tuo ragionamento dovrebbe farlo perché ognuno ha un suo mondo morale a se stante diverso e unico, ma è possibile che non ci sia nessun minimo comun denominatore tra i mondi morali dei singoli? Io non credo, anzi credo che bisogna assolutamente provare a trovarlo, ed in base a quello regolare una comunità… mi sembra così, altrimenti ognuno di noi diventa una monade, condannato ad una sorta di solitudine morale inconfrontabile con quella degli altri. Insomma perché non poter far valere e confrontare pubblicamente i giudizi che ognuno di noi inevitabilmente si forma?
Come avrai capito la maternità surrogata suscita in me un sentimento molto doloroso, tutto dentro di me mi dice che c’è qualcosa di molto sbagliato e che non riguarda solo i singoli che la fanno… questo però è un’altro argomento, giusto?
Un carissimo saluto, Giovanna
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Cara Giovanna,
io penso che il minimo comun denominatore in una società libera e disomogenea dal punto di vista culturale e morale possa e debba essere solo uno: il rispetto, questo sì sacro, per l’autonomia di ciascuno. Detta così, sembra poco. Ma basta ragionarci un attimo per vedere come da questo semplice principio derivino tutta una serie di conseguenze sostanziali molto precise. Per esempio, poiché per esercitare pienamente la propria autonomia è necessario essere cittadini colti e informati, da quel semplice principio deriva una difesa a spada tratta della scuola pubblica di qualità. Tanto per dire che non si tratta di un principio meramente formale.
Quanto alle questioni bioetiche, certo che le considerazioni etiche e morali devono essere espresse e discusse. Quel che io contesto è la pretesa che esse diventino leggi tout court. Io per esempio auspico un mondo in cui sia legalizzata la droga ma in cui nessuno si droghi: perché lo Stato ha fatto bene il suo lavoro di informazione e formazione, per esempio, perché i vari soggetti hanno saputo lavorare per rimuovere le cause sociali, psicologiche, emotive ecc ecc che spingono in molti a drogarsi. Ma non penso che la proibizione sia la strada per raggiungere questo obiettivo.
Per avvicinarci ai temi bioetici, prendiamo l’aborto.
Io sono stata e continuerò a essere sulle barricate per difendere il diritto di ogni donna di abortire. Eppure ho moltissimi dubbi sull’aborto in sé. Prego (metaforicamente, da atea) affinché non mi ritrovi mai di fronte alla decisione se abortire o no. Non so se mai lo farei. Penso di no, ma non ne posso essere sicura. Non mi sento nelle condizioni di giudicare chi lo fa, fosse anche solo perché non si sente pronta ad avere figli in quel momento. E quel che chiedo allo Stato è di mettermi nelle condizioni di decidere nella più totale autonomia.
Venendo alla surrogata, come hai visto se hai letto fino in fondo l’articolo, anche io ho molte riserve. Una su tutte – la più forte – il fatto che si “programmi” di far nascere un bambino per toglierlo immediatamente alla donna che lo ha partorito. Io sono una “fan” del parto naturale, dell’allattamento al seno eccetera, per cui figurati quanto io possa non tenere in considerazione questo aspetto. Però, anche di fronte alle mie convinzioni più forti, mi rimane sempre un margine di dubbio: le mie convinzioni sono comunque inestricabilmente legate alla mia personale esperienza, al mio personale “mondo morale” (ossia quell’insieme di valori che nel corso della mia vita si sono fissati a costituire la sempre incerta mappa delle mie opinioni) e non posso escludere al 100 per cento che per altre persone queste convinzioni siano sbagliate o, meglio, non valgano.In altri termini, io non mi sento di poter universalizzare le mie convinzioni.
Altro esempio. Quando penso ai figli nati da inseminazione artificiale con il seme donato da uno sconosciuto – è il caso dei figli di coppie lesbiche – mi vengono molti dubbi sul fatto che questi bambini siano comunque figli biologici di un padre che non conosceranno mai e mi chiedo se questo costituirà un problema per loro quando crescerà o no. E immagino siano dubbi che anche le stesse coppie che ricorrono a questa pratica si pongono. Io però la risposta non ce l’ho, almeno una risposta certa. Vedo normalissime famiglie, in cui accadono le normalissime cose che accadono in ogni famiglia, vedo questi bambini amati come i mieie mi chiedo che diritto ho io di vietare a quelle donne di essere madri. Semmai, mi fa rabbia che i divieti che abbiamo in Italia rendano queste cose “privilegi di classe”, perché solo chi ha i soldi può permettersi di andare all’estero a fare l’inseminazione artificiale (esattamente come prima della 194 era privilegio di classe l’aborto. E con le percentuali di obiettori che abbiamo sta tornando a esserlo). E mi fa rabbia che l’adozione sia un percorso così complicato, lungo, faticoso e costoso che persino molte coppie eterossesuali vi rinunciano. Sono certa che se l’adozione fosse molto più semplice e consentita a chiunque – coppie etero e omo ma anche single – il ricorso a queste pratiche sarebbe molto minore e molti bambini avrebbero finalmente una famiglia in cui vivere. Insomma, il punto è che io di fronte alle scelte degli altri su questi temi mi pongo sempre con un atteggiamento di dubbio e curiosità, non mi piace puntare il dito sulle vite degli altri, perché sono convinta che anche gli altri hanno i loro buoni motivi per prendere le loro scelte. Ma non per questo rinuncio alle mie convinzioni.
Io non sono affatto relativista. Penso solo che non spetti alle leggi stabilire cosa è bene e male per le persone. Tutto qui. Per cui non dico affatto che “se uno ha dentro di se’ delle convinzioni molto forti, ed anche dei sentimenti che si presentano puntuali a segnalargli che una cosa è bene o male” dovrebbe “ignorarli”. Ci mancherebbe, sarebbe impossibile vivere ovviamente. Quel che sostengo è che quei sentimenti e quelle convinzioni, per quanto molto forti, non possano essere universalizzati. E attenzione, ripeto: questo non porta affatto a un relativismo becero del tipo “ah, allora vanno bene anche le mutilazioni genitali femminili” e simili. Perché il faro è l’autonomia delle singolepersone, non delle comunità, non delle famiglie. Per esempio, per garantire la crescita consapevole e autonoma dei bambini, lo Stato può persino intervenire con i carabinieri e costringere le famiglie a mandare i figli a scuola. La scuola dell’obbligo (e io aggiungo: pubblica e laica) è una garanzia dell’autonomia dei bambini, anche a costo di limitare la “libertà” educativa delle famiglie.
un abbraccio
Cinzia
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Cara Cinzia,
In realtà vorrei partire parlandoti un po’ del mio “mondo morale”, così penso ci si possa capire meglio. Il fatto è che nel corso della mia vita, che ha attraversato varie esperienze e cambi di prospettiva, vari studi e incontri, ho maturato sempre più a fondo l’idea che uno dei motivi per cui in Occidente c’è tanta infelicità, tanta ansia, tanto male, direi, è che ci siamo allontanati troppo dalle nostre origini naturali, animali. Gli uomini, cioè, per quante scoperte scientifiche e tecnologiche possano fare, rimangono sempre parte del mondo naturale e animale con cui sono collegati in modo organico: ecco perché se l’ambiente è malato, ha la febbre, si va degradando, anche gli esseri umani non possono che stare nello stesso stato. E non c’è antidoto tecnologico o scoperta scientifica che ci possa tenere al riparo da questo. Non ci sono escamotage, non si può inventare ad esempio un gas che inverta il riscaldamento globale, perché tanto nessun pool di scienziati o di politici potrebbe padroneggiarne le conseguenze! Si può solo cercare di diminuire le emissioni per recuperare un equilibrio, per rimettersi dentro ai limiti oltre i quali il clima impazzisce e diventa progressivamente distruttivo. Non c’è un’altra cura, purtroppo.
A livello dei singoli penso valga lo stesso: non ci si può allontanare troppo dalla propria realtà corporea, biologica, istintiva (di cui fa parte anche il senso morale secondo me perché ci protegge dal male): si deve cercare di evolvere però assecondandola, rispettandola. Solo attraverso il corpo, la propria realtà naturale, si può sperimentare la felicità e la pienezza. Dico questo perché ho sofferto per lungo tempo di una serie di malesseri fisici che si sono rivelati poi decisamente psicosomatici, dimostrandomi il legame indissolubile fra corpo e spirito. Avevo giramenti di testa, ansie, mal di schiena, crisi di panico, difficoltà respiratorie, tachicardie, cioè sintomi fisici che non hanno fatto altro che peggiorare finché non ho preso per le corna il malessere psicologico-spirituale sottostante che non ne voleva sapere niente di spiegazioni razionali, di soluzioni facili né di farmaci naturalmente. In questo modo sono gradualmente scomparsi e ho riacquistato un equilibrio, e anche un po’ di felicità. È stato un lungo percorso, anche difficile (mai definitivo, naturalmente) però adesso sono molto attenta ai segnali che mi manda il corpo, ai sentimenti veri anche se indesiderati, e cerco di seguire di più l’istinto, che io in realtà ho sempre ignorato troppo (ad esempio spesso intignavo con persone che in realtà non mi convincevano dall’inizio, cosa malsana).
Tutto questo, mi dirai, che c’entra con i nostri temi etici, e con il diritto poi?
In realtà c’entra a mio parere perché quando si parla di aborto, di eutanasia o di utero in affitto (e anche di eterologa a dir la verità), si parla di pratiche che sono delle grandi forzature rispetto all’ordine naturale delle cose, sono un tentativo di scavalcare i limiti. Sono in realtà degli escamotage, dei rimedi estremi per venire incontro a desideri di singoli che non sono sicura possano essere considerati dei diritti che lo Stato deve garantire.
Tra l’altro è stato provato dalla legge sull’aborto che legalizzandoli si ottiene piano piano che le persone li considerino normali e non vi ricorrano più in casi estremi, ma in maniera massiccia e al minimo problema. Ad esempio solo in Italia sono stati abortiti circa 4 milioni di bambini dal 1979 a oggi! Una vera ecatombe… senza non ci sarebbe forse un problema demografico di invecchiamento della popolazione e neanche economico forse….
Con questo non voglio arrivare a dire che sarebbe meglio proibire l’aborto (anche se io, come te, sono quasi sicura che non lo farei mai) ma sono certa che non si deve proporre come prima soluzione facile e comoda alle ragazze che restano incinta. Ho vissuto gli aborti di almeno tre amiche tra i 20 e i 30 anni e ho visto che hanno lasciato molti segni. Inoltre, tutte e 3 hanno finito per farlo non perché non desiderassero avere figli, ma solo perché “gli inseminatori” in questione non volevano diventare padri o perché i loro genitori hanno insistito. E dunque non si può neanche parlare veramente di scelta autonoma… Altro dubbio infatti: molti uomini, da quando c’è l’aborto, si sono enormemente deresponsabilizzati, pensano che non sia affar loro, e questo non è un bene neanche per le donne!
Tu scrivi: “Perché il faro è l’autonomia delle singole persone, non delle comunità, non delle famiglie. Per esempio, per garantire la crescita consapevole e autonoma dei bambini, lo Stato può persino intervenire con i carabinieri e costringere le famiglie a mandare i figli a scuola.” Vuol dire che con i singoli non può intervenire?
Perché lo Stato dovrebbe garantire l’autonomia dei singoli e non delle comunità? A me sembra che si debba occupare soprattutto del bene comune, della comunità, limitando un po’ anche i singoli, perché già ognuno di noi è portato per natura ad occuparsi esclusivamente di se stesso. Si nasce totalmente egoisti e poi piano piano si viene obbligati a esserlo sempre un po’ meno perché altrimenti si arriverebbe soltanto al tutti contro tutti e questo non conviene neanche al singolo. Questa è anche la missione principale dell’educazione dei figli, è una cosa di cui mi rendo conto sempre più… quindi lo Stato, preservando le libertà individuali fondamentali (che però in Occidente sono già tutelate), dovrebbe occuparsi prevalentemente del bene sociale, mi sembra. E’ a questo che non pensa più nessuno. Forse si pensa che se i singoli sono felici, poi si comportano spontaneamente bene verso gli altri, ma questo non è vero, non è la realtà. Ad esempio i due ragazzi assassini protagonisti dell’ultimo, sconvolgente fatto di cronaca romano, sono cresciuti sicuramente in un ambiente che li ha lasciati liberi di scegliere, hanno goduto di tutti i diritti che può garantire uno Stato (erano studenti fuori corso trentenni) eppure sono diventati efferati, spietati, folli. Forse limitandoli un po’ per la comunità e per la povera vittima sarebbe stato meglio…
Venendo all’altro tema dell’utero in affitto (e anche dell’eterologa): se lo Stato può intervenire con i carabinieri per obbligare una famiglia a mandare i figli a scuola (il che mi può andar bene), perché non può intervenire per evitare che un’agenzia o una clinica sanitaria faccia enormi affari mercificando il corpo delle donne, di fatto mettendole in libertà vigilata (le surrogate devono consegnare referti medici e psichiatrici, non possono fumare, bere alcolici, avere rapporti sessuali, sono obbligate a ricevere visite dai presunti genitori in qualsiasi momento) e trattando i bambini come prodottida vendere su ordinazione?
A mio parere è molto più importante che lo Stato tuteli le persone dal pericolo di essere trattate come merci, messe in vendita, piuttosto che di assicurare un bambino a tutte le coppie sterili che lo desiderino. Nel caso della surrogata le madri sono considerate come fornitrici di organi (anche se lo fanno volontariamente) e il bambino, non c’è niente da fare, come un prodotto commerciale, da qualsiasi punto di vista lo si osservi. È la mercificazione di esseri umani, il massimo prodotto del capitalismo e del liberismo sfrenato, per le donne il massimo dell’alienazione da se stesse e dal loro corpo, anche se permette ad alcune coppie di soddisfare dei desideri umanamente comprensibili. Ma il fatto che questi desideri esistano non dà diritto a intraprendere un commercio di persone per soddisfarli!
E poi c’è l’altro problema non da poco, legato al fatto che i bambini nati con queste pratiche, una volta divenuti coscienti potrebbero sentirsi (molti psichiatri ed esperti di adozioni lo danno per certo) sradicati, confusi, diversi, nel peggiore dei casi ingannati.
Il fatto che i legami di sangue siano fortissimi e non possano essere rescissi con leggerezza, penso sia un fatto che ognuno di noi sperimenta, anche se poi i rapporti con i consanguinei spesso non sono buoni. La letteratura, il cinema, i miti, le favole producono da secoli capolavori universali che hanno per protagonisti degli uomini o donne in qualche modo orfani (o intorno alla cui nascita si nasconde un segreto) che sono tormentati tutta la vita da questo segreto e spesso passano l’intera esistenza a cercare di capire chi è la vera madre o il vero padre… evidentemente il modo in cui si viene al mondo non è così indifferente, anche perché non lo è affatto per le persone che li crescono e questo si ripercuote poi sul figlio adottivo. Noi che abbiamo origini certe forse non li capiamo del tutto, però questi drammi evidentemente fanno leva su qualcosa di atavico…
Il corpo, la natura, la necessità e l’evidenza di un limite, sempre lì si ritorna.
So che tu sei molto in disaccordo sul fatto di considerare la realtà naturale come base del diritto, ma non ci posso fare niente, non riesco a separare morale e diritto…
Sono stata tanto lunga, non so neanche se mi sono espressa bene, ma ho provato ad argomentare.
Un abbraccio, Giovanna
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Cara Giovanna,
tu scrivi: “noi che abbiamo origini certe forse non li capiamo del tutto però…” ecco, prova a usare lo stesso argomento con chi non può avere figli e li desidera tanto: “Noi che abbiamo potuto avere figli non li capiamo del tutto però…”. Il mio atteggiamento di fronte all’esperienza altrui è sempre quello dell’umiltà: siamo esseri finiti, non siamo in grado di fare sulla nostra pelle tutte le esperienze possibili e non mi sento titolata al 100 per cento a dare giudizi assoluti su esperienze che non ho vissuto. Dirò di più: anche su esperienze che ho vissuto, posso dire come le ho vissute io, il che non dice pressoché nulla su come l’hanno vissuta, o la dovrebbero vivere altri.
Riporto un altro esempio della mia vita privata. Tu sai che il mio primo figlio è nato con un sofferto parto cesareo, che mi ha lasciato molte cicatrici, fisiche ed emotive, e quanto ci tenessi a che la mia seconda figlia nascesse con parto naturale. Se penso alla mia esperienza non riesco a capacitarmi di come per altre donne possa essere diverso, o che addirittura alcune preferiscano il cesareo al naturale. Eppure è così, devo farmene una ragione. Quando ho partorito la mia seconda figlia con il parto naturale nel letto affianco c’era una donna appena cesarizzata, peraltro dopo un lungo travaglio poi fallito. Appena è arrivata in stanza le ho subito detto che poteva contare su di me se aveva bisogno di aiuto, che io sapevo cosa significava il cesareo ecc. ecc. Quella donna, quella sera stessa, si è tranquillamente fatta da sola la doccia. Cosa che io sono riuscita a fare, con grandi sofferenze, non so quanti gironi dopo. Per prendere in prestito alcune parole di papa Francesco divenute famose, chi sono io per giudicare la sua esperienza meno autentica della mia?
È curioso che il tuo discorso parta dal riconoscimento dei segnali che ti manda il tuo corpo e poi però vuoi in qualche maniera che lo Stato “imponga” agli altri come gestire il proprio.
Il punto è molto semplice: a meno di non rivolgersi a un’autorità esterna, non c’è modo di trovare una morale condivisa. Questa è la sola, se vuoi tragica ma inaggirabile, verità della condizione umana. Per cui il punto è sempre e solo uno solo: chi decide cosa è bene per me? A meno di non voler rispondere Dio (e anche questa risposta in verità è molto controversa, dato che Dio parla sempre per bocca di qualche uomo, che sia Bagnasco o l’imam del Cairo), le opzioni sono solo due: o io o qualche altra persona. E chi ha più diritto a decidere sulla mia vita? Io o qualcun altro? Il punto – se vuoi il dramma – è tutto qui.
Ed è curioso che, proprio a partire dalla tua personale esperienza, tu non arrivi proprio a questa conclusione: che ogni singola esperienza individuale è irriducibilmente unica. Sono totalmente d’accordo con te sull’importanza dei “segnali che mi manda il corpo, ai sentimenti veri anche se indesiderati, e di seguire di più l’istinto”. Il punto però è esattamente che il tuoistinto può portarti a conclusioni completamente diverse dal mio, e non vedo nessun motivo valido per sostenere che il “mondo morale” che tu costruisci seguendo i segnali del tuocorpo, i tuoisentimenti, il tuoistinto siano più autentici, e dunque più universali, dei miei, o di quelli di ciascun altro.
Infine, quando dico che lo Stato deve garantire l’autonomia dei singoli e non delle comunità, occhio al plurale: delle comunità, intendo dire delle singole varie comunità culturali e/o religiose (fino alla più piccola: la famiglia) che inevitabilmente convivono nelle nostre società. Ed è proprio garantendo l’autonomia dei singoli – se necessario anche controle comunità di appartenenza e persino contro la propria stessa famiglia (pensa al caso delle mutilazioni genitali femminili. E sai che in Germania, ma temo anche in Italia, ci sono casi di matrimoni forzati nelle comunità islamiche?) – che forse possiamo garantire la pacifica convivenza e dunque il “bene” (tra virgolette perché non quello assoluto e con la B maiuscolo, ma quel minimo che ci possiamo permettere in quanto esseri finiti) della comunità – al singolare, intesa come comunità civile. Insomma, l’autonomia dei singoli non è affatto in contraddizione con il bene comune, ma ne è anzi una precondizione.
Non concordo per nulla con il tuo discorso sull’Occidente che avrebbe perso il rapporto con la natura ecc. ecc. La storia dell’uomo è fin dall’inizio storia di emancipazione dalla natura, e non si capisce perché gli ulteriori passi di questa emancipazione debbano essere demonizzati a priori. Ovviamente, non è neanche vero il contrario, ossia che tutto ciò che la tecnica consente è buono in sé, ma io non credo affatto che il “male” dell’Occidente sia l’aver perso il contatto con la natura. Francamente, e lo dico con tutto il carico di critiche radicali che avrei da muovere alle nostre società soprattutto in termini di ingiustizie sociali, credo che comunque il nostro mondo occidentale e liberale sia quello che di meglio siamo riusciti a costruire. Sono cose quasi indicibili oggi, si rischia di essere accusati di occidentalismo, eurocentrismo, ecc ecc, ma io francamente non conosco al mondo un contesto sociale nel quale vorrei vivere più volentieri di questo. Tu?
Sull’aborto, sono sincera, leggere le tue parole mi ha fatto male. Attribuire alle donne che hanno abortito la mancata crescita demografica facendo dei conti del tutto discutibili non mi pare un buon argomento: discutibili non perché non veri, ma perché incongruenti: e dove li mettiamo allora tutti i bambini non nati per l’uso dei contraccettivi? È un’ecatombe preventiva anche quella? Tutto quello che tu dici – padri irresponsabili ecc – non ha niente a che fare con la legge sull’aborto: non è che prima della legalizzazione dell’aborto i padri fossero più responsabili! Vogliamo metterci a quantificare le donne abbandonate dopo essere state messe incinte nel corso dei secoli (a partire dalla “vergine” Maria, che il buon Giuseppe ha preso sotto la sua protezione)? Se quelle tue amiche fossero vissute in un paese dove l’aborto era vietato, sarebbero state più felici o avrebbero forse incontrato uomini più responsabili? Per non parlare del fatto, ovvio, che legalizzare l’aborto non significa né promuoverlo né ovviamente obbligare nessuno a farlo. E la legalizzazione dell’aborto dovrebbe andare di pari passo con una seria educazione emotiva e sessuale fin dalla primissima infanzia (nei paesi dove la stanno facendo da anni il tasso di aborto sopratutto fra le giovanissime è decisamente sceso, perché ovviamente è cresciuto quello dell’uso della contraccezione). Sulla legge 194 l’unico dato che conta è la diminuzione drastica degli aborti clandestini: dato inequivocabile, e che purtroppo è messo seriamente a rischio dall’indecenza dell’obiezione di coscienza.
Sai qual è il punto di fondo secondo me: che a tutti piacerebbe che le leggi potessero rendere felici, cancellare il male. Ma invece il male, la sofferenza, il dolore, il caso, le malattie ecc ecc ci sono e le leggi non possono certo cancellarli: questa è la condizione umana. Quello che possono (e debbono) fare è solo mettere ciascuno di noi nelle migliori condizioni possibili per affrontare anche i momenti più tragici della vita con libertà e autonomia.
un abbraccio
Cinzia
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Cinzia, ma il mio obiettivo, parlandoti del mio mondo morale, non era assolutamente convincerti, ma solo farmi conoscere un po’ meglio! Non ho certo la pretesa che il mio mondo morale diventi il mondo morale di tutti, o che facciano le leggi a partire dalle mie idee (ci mancherebbe!). Però penso che anchele idee come la mia, che parte dal presupposto che la natura abbia una sua saggezza, e che nella cultura occidentale ci sia una deriva che potrebbe sconvolgere irrimediabilmente gli equilibri naturali, vadano riconosciute come legittime e non liquidate brutalmente. Non penso di essere l’unica ad avere simili idee!
Per quanto riguarda il compito dello Stato e dei legislatori l’obiettivo penso rimanga quello di regolare i rapporti fra i singoli, di orientarsi al bene sociale più che a quello dei singoli perché le due cose non sempre coincidono. E infatti io non volevo affatto demonizzare le donne che abortiscono, ma mostrare che le scelte dei singoli influiscono anche sulla società, hanno per così dire degli “effetti collaterali”. O è vietato ragionare su questi aspetti? Non fraintendiamoci.
Per il resto sono differenze di vedute, tante tante volte si rimane feriti dalle opinioni altrui, e dispiace constatare che persone cui si vuole bene la pensino tanto diversamente, ma purtroppo su questo non ci si può fare niente. Però, visto che tante volte ho letto i tuoi articoli e ti ho sentita argomentare, ti ho voluto rispondere, penso che la finalità dei tuoi articoli sia anche ricevere un po’ di feedback. A me farebbe piacere.
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Cara Giovanna,
spero tu non mi abbia frainteso: certo che le tue opinioni, che sono anche ampiamente condivise da molti, sono ammissibili. Esattamente come quelle di tutti gli altri. Ma il nostro scambio era partito dal nesso fra diritto e morale e proprio tu nella prima mail ponevi questo problema: Come fa un opinionista o un legislatore, che in quanto essere umano sicuramente si forma dei giudizi sulle cose, a tenere il suo “mondo morale” completamente segreto, staccato dalla sua vita pubblica? Secondo te è possibile che non ne venga influenzato nel suo lavoro? E soprattutto è giusto che sia così?
Ecco, io penso semplicemente che la legislazione – e dunque anche il legislatore – deve limitarsi a mettere ciascuno nelle condizioni di fare le proprie scelte. Poi ovviamente in altri ambiti – come quello del dibattito pubblico, dell’educazione ecc, – ognuno è libero non solo di esprimere, ma anche di tentare di “convincere” gli altri (sempre però nei limiti del rispetto della dignità di tutti: gli antiabortisti che stanno davanti agli ospedali tentando di convincere le donne a non abortire per esempio non sono dal mio punto di vista tollerabili, o quelli che portavano le bottigliette d’acqua davanti la clinica dove era ricoverata Eluana Englaro. Nulla toglie invece che, per esempio, nelle parrocchie il parroco faccia prediche all’infinito contro l’aborto: liberissimo lui di farle e i parrocchiani di ascoltarle ed eventualmente agire di conseguenza). Io per esempio, se fossi in parlamento, mi batterei con le unghie e con i denti per la 194 e CONTEMPORANEAMENTE porterei avanti campagne di prevenzione con l’obiettivo di tendere ad aborti zero.
ti abbraccio
Cinzia
Gentili Cinzia e Giovanna,
la vostra conversazione, che avete voluto partecipare ai frequentatori abituali di questo blog, è assimilabile allo svolgimento di alcuni temi generali dell'esistenza umana frutto di libere (vostre) associazioni di idee ma difetta di un particolare, a mio parere, importante: si parla diffusamente di morale e diritto senza darne una definizione univoca che, unica, sarebbe capace di legittimare ogni discorso, affermazione o negazione in proposito.
Nella mia modestia non ho afferrato se la“dimenticanza” di questa “univocità” sia da voi ritenuta ininfluente o data per scontata ed universalmente acquisita, “lippis et tonsoribus”, o viceversa, talmente “indefinibile” che abbiate rinunciato ad enunciarla.
Tuttavia, qualsiasi sia la spiegazione, penso valga la pena provare a formulare alcune definizioni per rendere comprensibili e/o condivisibili alcune vostre affermazioni:
# “mondo morale”
cosa vuol dire?
Quello di Giovanna è uguale a quello di Cinzia, peraltro perfettamente condivisibile, almeno da parte mia (# le mie convinzioni sono comunque inestricabilmente legate alla mia personale esperienza, al mio personale “mondo morale” (ossia quell’insieme di valori che nel corso della mia vita si sono fissati a costituire la sempre incerta mappa delle mie opinioni)?
# dei sentimenti che si presentano puntuali a segnalargli che una cosa è bene o male
possiamo essere così fiduciosi nei nostri sentimenti come discriminante tra questi “valori” che attengono più facilmente alla trascendenza?
# per esercitare pienamente la propria autonomia è necessario essere cittadini colti e informati
è una legittima aspirazione ma potrebbe bastare “il diritto” (anche di questo concetto urge definizione) che fissa i criteri entro cui devono operare le varie “autonomie”; mi sembra pericoloso affidare l'autonomia alla cultura che, historia docet, non può essere per tutti
ho gettato il mio piccolo sassolino nello stagno senza sfiorare i grandi temi da voi trattati (aborto, gravidanza surrogata, morale, diritti e doveri, individui e collettività, etc); mi accontenterei di imparare qualche definizione
Carissime Cinzia e Giovanna,
è bello leggervi.Grazie per aver deciso di pubblicare il vostro dialogo. Le idee che formuliamo e che ci appartengono non sono solo nostre, ma patrimonio sociale. Dal vostro confronto avverto un commovente e sincero sforzo di comprensione dell'altrui ragione. Non entro in argomento: voglio godermi il fascino del dialogo, che inevitabilmente aiuta tanto al superamento delle opinioni di ciascuno.