Quella che segue è la traduzione italiana della segnalazione uscita su Newsmavens e basata su una intervista a Carmine Priscopo realizzata da Giacomo Russo Spena e uscita su MicroMega.
In molte città italiane ci sono diverse esperienze di gestione di immobili pubblici dismessi da parte di gruppi di cittadini che li hanno occupati. Si tratta di esperienze fuori dalla legalità e che – in nome appunto della legalità – spesso vengono osteggiate dalle amministrazioni comunali. Si tratta però anche allo stesso tempo di esperienze che spesso suppliscono all’assenza di servizi pubblici che quelle stesse amministrazioni che si appellano alla legalità dovrebbero garantire.
Perché se è vero che occupare abusivamente un immobile non è legale, é anche vero che la nostra Costituzione – la norma più alta dell’ordinamento giuridico, quella che fornisce fondamento di legittimità a qualunque altra norma e alla luce della quale qualunque altra norma andrebbe interpretata – stabilisce anche che “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
A Roma la Casa internazionale delle donne – un’esperienza più che trentennale che fornisce servizi e assistenza a decine di migliaia di donne all’anno, facendosi carico allo stesso tempo della costosa manutenzione di un bellissimo ed enorme palazzo storico a Trastevere – rischia di chiudere perché non riesce a pagare l’affitto: non è certo questa la legalità che avevo in mente i nostri padri costituenti.
A Napoli si sta tentanto un approccio diverso: non partire dai codici della legge e farli abbattere sulle esperienze civiche senza neanche guardarle, ma partire da queste ultime, verificare se e in che modo rappresentano un valore pubblico e contribuiscono al benessere collettivo e, da qui, cercare le forme per farle rientrare nell’ambito della legalità costituzionale. Non è un caso che il “laboratorio Napoli” è osservato con interesse da molte città europee, a partire dalla Barcellona di Ada Colau. Forse in tempi in cui la politica ha perso ogni capacità di fornire un orizzonte di senso ampio, è dalle città e dalle esperienze civiche più virtuose che si può ripartire per ritrovare il senzo della democrazia e della solidarietà.
I FATTI
- A partire dal 2012 l’amministrazione comunale di Napoli, guidata da Luigi De Magistris, ha emesso una serie di delibere che consentono ad assemblee di cittadini l’utilizzo di beni pubblici inutilizzati per scopi culturali e sociali
- La delibera più famosa è quella che riguarda l’ex Asilo Filangieri, dove già da tempo dei cittadini di diversa estrazione riuniti in assemblea gestivano attività culturali e sociali.
- L’amministrazione sta anche studiando dei provvedimenti affinché anche immobili privati in disuso vengano destinati al benessere della collettività
- Per la gestione e la supervisione di questi spazi è nato nel 2013 l’Osservatorio permanente dei beni comuni.
- L’idea che sta alla base di questi provvedimenti – che si ispirano al lavoro giuridico di Stefano Rodotà – è che la gestione dei beni comuni, intesi quali beni direttamente collegati alla sfera dei diritti fondamentali, è meritevole di tutela al di là della loro titolarità formale, pubblica o privata, e quindi vanno sottratti alla logica esclusiva del mercato.
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