L’URGENZA DELLA LAICITA’ O DELLA CRISI DELL’EUROPA: L’ULTIMO LIBRO DI CINZIA SCIUTO
di Domenico Bilotti (*), 05 Novembre, 2018, da politicamentecorretto
La discussione pubblica, specialistica e non, sconta da sempre remore ingiustificate nell’accostarsi a determinate tematiche. Prudenze sulla carta ineccepibili si trasformano in censure quasi autoimposte discorrendo delle religioni e della loro disciplina, delle politiche di integrazione e delle cause del loro fallimento, di cosa andrebbe salvato dello spazio giuridico europeo e di quali limiti sperimenti la nostra effettiva libertà di scelta nella società globale.
Questa timidezza espositiva che talvolta e’ carenza di argomenti e implicita manifestazione di disinteresse certo non riguarda l’ultimo lavoro della ricercatrice e giornalista italiana Cinzia Sciuto, “Non c’e’ fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo”, per i tipi di Feltrinelli (Milano, 2018). Siamo in presenza di una ricerca anzi che dichiara, condivisibile o meno, la propria politicità, la propria intentio normativa, la propria, aperta e diretta, manifestazione d’urgenza. Tra le paludi dei conformismi incrociati, già questa e’ una notizia.
La Sciuto difende un’accezione intransigente di laicità, ma quel paradigma rigidamente separatista cerca di mantenere un canale di comunicazione con le credenze perché, in effetti, laicità e’ precondizione di espressione delle fedi in condizioni di eguale libertà.
Il volume insiste ripetutamente sul non volere studiare e ripercorrere il preteso contenuto veritativo delle appartenenze religiose, mirando a valutarle sul metro del loro agire concreto. E forse questa indicazione metodologica ricolloca sul giusto piano il contribuito ermeneutico del giurista cui tocca, da un lato, di analizzare la regolamentazione statutaria dei gruppi confessionali e, dall’altro, di metterne in luce le ricadute pubblicistiche e privatistiche. Il fondamentalismo e la credenza non sono sovrapponibili, ricorda la Sciuto, e la differenza salta all’occhio: il fondamentalismo esalta una religione e destituisce (se del caso con strumenti illeciti e cruenti) quelle diverse; le varie credenze invece sono poste in condizioni di dialogare -o di ignorarsi, se lo preferiscono- solo finché il riconoscimento dei diritti di libertà vigila contro le prevaricazioni.
La Sciuto gioca questi contrasti proiettandoli, con ragionata bibliografia e metodica selettiva del procedere logico delle argomentazioni, sul piano del dualismo tra i diritti individuali e quelli “culturali”, tra la dignità della persona uti singula e le pretese eterodisciplinari dei gruppi organizzati che ambiscono a dare regime (esclusivo!) alle sfere d’azione di quella stessa persona.
Forse proprio assecondando il taglio del volume, allora, convince ancor di più che questo crinale sia traslato alla bipartizione tra l’autonomia e l’eteronomia (come in effetti fa con efficacia la parte conclusiva del testo).
La Sciuto cita con frequenza, e anche vera aderenza bibliografica e contenutistica, due esperti riconosciuti e di rilievo internazionale del dibattito globale sulle religioni, Roy e Gauchet, cogliendoli effettivamente in fallo su ciò che talvolta resta scoperto nelle pagine dei due. Roy, per la Sciuto, sembra non decodificare davvero i problemi e i programmi della propaganda islamista radicale. Avviciniamo il pensiero tra la Sciuto e il suo contraltare cartaceo: Roy ritiene il radicalismo possa restare “enclave”, affare di gruppo, vincolo comunitario che non deve proiettarsi con violenza e minaccia al suo esterno. La ricercatrice italiana denuncia la natura in re ipsa politica di quella propaganda, sapendo che essa non sta chiusa in recinti invisibili, ma che fa della pervasività -anche ove incruenta- sua propria cifra.
E bene fa la Sciuto a registrare i limiti elaborativi, sul lungo periodo, di Gauchet (e aggiungiamo: Remond) e delle sue tesi sulla scomparsa della storia politica delle religioni. Quella fotografia, se mai così è stato, andava bene quando venne scattata; oggi ne va fatta un’altra. E si badi come sempre più spesso la reimmissione politica del confessionismo sia consapevolmente attuata da attori politici in senso stretto, ben prima che da autorità religiose (e la Sciuto ci ricorda il caso del polacco “Diritto e Giustizia”, o anche dell’italianissima Lega, un tempo padana).
Il libro ha talvolta tinte urticanti perché, pur se talvolta forza la mano (e sebbene con la sua trasparenza mettendolo a verbale), cerca e trova una misura sempre antiretorica. Non c’e’ retorica quando la Sciuto critica la proliferazione di sigle, acronimi e codici identificativi nell’associazionismo a tutela della diversità sessuale, perché quella studiata frammentazione polimorfa va misurata sugli effetti che ottiene. Non c’e’ retorica quando la Sciuto prova a riequilibrare gli elogi altrove sperticati per il Magistero di Francesco, segnalandone contraddizioni e passi falsi proprio sul fronte della condizione giuridica femminile. E se nella lunga trattazione sull’Islam e sulla velatura rituale traspare la pretesa di una marcata restrizione, sociale e non normativa, di quell’uso, tuttavia sulle indicazioni di principio puo’ esservi convergenza. Sono le donne musulmane -e non altri, ne’ liberal occidentali di pelosa carità, né però i reggimenti delle costrizioni culturali- a potere attivare processi di risignificazione del velo (dal mero vincolo comunitario alla richiesta individuale di riconoscimento, dalla subordinazione alla seduzione, se si ritiene).
L’autrice predilige insomma un pieno spossamento delle gerarchie religiose comunque intese dalle culture, anche e soprattutto quelle di minoranza, invocando un universalismo giuridico costituzionale e liberaldemocratico, così accerchiato e mal ridotto di questi tempi. Chi scrive forse antepone a questa scelta di fondo la necessità di “negoziare” la differenza in un’opera di traduzione interculturale (l’unica possibile per salvare i diritti umani da un deficit applicativo in parte dovuto alla loro proclamativa autoreferenzialità).
Proprio per questo, non paradossalmente, il volume della Sciuto, oltre a schiettissimo manifesto, e’ molto prezioso compagno per aprire la breccia di una discussione da cui dipende il futuro di tutti.
(*) docente di Diritto e Religioni presso l’Universita’ Magna Graecia di Catanzaro
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