Fra l’abiezione di chi pensa che salvare vite umane valga la pena solo se sono bianche e cristiane e l’afasia di chi non ha nient’altro da dire se non il vuoto “rispettiamo le sue scelte”, c’è l’immensa distesa del pensiero critico, nella quale non solo deve essere consentito, ma è anche necessario porsi domande, dubbi, mettere in discussione, analizzare. La vicenda della conversione di Silvia Romano è un prisma dalle molte facce. Ce n’è una sicuramente personale e privata, nella quale nessuno ha il diritto di entrare se non la sua famiglia e i suoi amici, e anch’essi nei limiti in cui lei stessa vorrà. Ma ce ne sono almeno due di assoluto interesse pubblico.
Il primo ha a che fare con le circostanze in cui questa conversione è avvenuta: non è affatto irrispettoso (né tantomeno islamofobico) avanzare il dubbio che forse un anno e mezzo di prigionia, durante il quale Silvia non ha avuto altri contatti se non con i suoi rapitori fondamentalisti islamici, in cui non ha avuto accesso ad altre letture se non il Corano, in cui la sua mente ha dovuto trovare un modo per sopravvivere e tenere accesa la speranza, non sia esattamente la condizione più serena per compiere una simile scelta. Che di questa scelta oggi lei sia convinta, nulla ci dice circa le condizioni di libertà in cui è stata compiuta.
Il secondo aspetto della vicenda è ancora più rilevante dal punto di vista del discorso pubblico. L’islam politico (di cui al-Shabaab, la formazione che ha tenuto sequestrata Silvia, è una delle organizzazioni più estremiste) porta avanti la sua battaglia attraverso moltissimi strumenti, che includono anche la diffusione e la normalizzazione di una serie di simboli politico-religiosi, a partire dall’abbigliamento femminile. In Musulmane rivelate (Carocci, 2008) l’antropologa Ruba Salih scrive: “Le donne sono viste come fondamentali nella battaglia per islamizzare la società, in particolare per arginare il processo di occidentalizzazione. […] L’islamizzazione della società passa attraverso la condotta e le forme di abbigliamento delle donne, che divengono specchio e simbolo dello stile di vita islamico” (pp. 41-42). “L’islam politico,” conferma a sua volta la sociologa Nilufer Göle, “sfida i confini dello spazio pubblico, spezzando la sua omogeneità e puntando a una islamizzazione degli stili di vita e dei comportamenti” (L’islam e l’Europa, Armando, 2013, p. 106). La campagna per l’accettazione del burkini e di altri elementi dell’abbigliamento femminile coerente con le prescrizioni della modestia sono parte di questo disegno. Il che non significa che le singole donne che indossano questi capi d’abbigliamento stanno eseguendo deliberatamente delle prescrizioni di formazioni islamiste, ma che certamente contribuiscono in maniera più o meno consapevole alla loro causa.
Non mi stancherò mai di ripetere che esistono tanti islam quanti musulmani, esattamente come esistono tanti modi di essere cristiani quanti sono i cristiani. C’è un islam con il velo e uno senza, uno con il bikini e uno con il burkini, uno con la barba e uno senza. C’è un modo di essere musulmani che gli islamisti odiano – non a caso le prime vittime dell’islam politico sono proprio quei musulmani che ai loro occhi non sono autentici musulmani – e uno che invece porta acqua, in maniera anche del tutto inconsapevole, al suo mulino.
La conversione di Silvia/Aisha non è evidentemente (solo) una semplice scelta personale e intima. Se fosse stato (solo) questo, avrebbe potuto comunicarla con calma, dapprima ai familiari, con la serenità necessaria e senza il favore delle telecamere e dei fotografi. È invece anche – che sia una scelta consapevole o meno – una manifestazione di propaganda politico-religiosa. Quando a una scelta personale si associa una manifestazione esteriore di quella scelta (come in questo caso l’abito) essa assume infatti inevitabilmente un significato che va al di là della sfera personale. Quello che Silvia indossa non è – come si tenta di dire, minimizzandone il portato – un semplice abito tradizionale somalo ma una delle tante versioni dell’abbigliamento femminile islamista. E la potenza simbolica delle immagini di Silvia Romano che – pur essendo ormai nelle condizioni di poter scegliere – si mostra avvolta in uno jilbab verde rimarrà inalterata a prescindere da cosa lei farà nel prossimo futuro. Una potenza che si alimenta anche dell’atteggiamento di chi – per paura di essere accusato di razzismo e islamofobia – decide di non vederla.
Sempre brava Cinzia. Il clima del dibattito social ci ha resi certamente attenti a non trascendere in attacchi capziosi e volgari, ma ciò non significa che non ci si possa porre la questione in modo laico e senza che ciò sia frainteso con un attacco alla persona.
Salve, apprezzo e condivido l’articolo. Tuttavia è necessaria una precisazione che riguarda quella specie di mamtellina verde che Silvia aveva all’arrivo. La smentita viene dagli 007 i quali affermano che… “É stata recuperata dagli uomini dell’intelligence italiana con quello stesso giubbetto che si vede nella foto; che è dotazione rigorosamente italiana e che le è stato fornito senza alcun simbolo”….”
Hai ragione. La libertà di coscienza di Silvia indiscutibile, vale almeno quanto vale in negativo la componente ideologica della sua conversione di cui i terroristi non faranno un uso solo pedagogico
sono perfettamente d’accordo
Molto d’accordo con la tua breve analisi (scusa il tono confidenziale, anche se la conoscenza reciproca è asimmetrica). Gli shabab, e non solo, hanno studiato i linguaggi di comunicazione (aiutati dai cinesi??) e imparato ad usarli per ‘incastrare’ gli europei/ cristiani, maestri di linguaggio. Noto una cosa, tra le tantissime che si potrebbero aggiungere: giustamente, rispettosamente, ti fermi di fronte allo spazio ‘personale’, ma qui (in realtà sempre….”il personale è politico”…) nulla è più personale, la totalità di ogni aspetto è toccata e strumentalizzata. Non è possibile espungere alcun risvolto di tutta la situazione. Sarebbe un atto ‘volontaristicamente forzato’, che fa il gioco (e fa ridere) di coloro che hanno progettato ed attuato il sequestro. Certamente dobbiamo ripensare, e riflettere, su questa ‘spinta missionaria’: padre Paolo Dall’Oglio, in una visione/vocazione profondamente cristiana, si è preparato, ha studiato, anche l’arabo,ed è andato in Siria, territorio che prima di queste devastazioni conservava, in piccole enclaves, le più antiche comunità cristiane; e vi è ritornato, clandestinamente, dopo l’espulsione, pronto, cristianamente, al suo proprio sacrificio (come forse è avvenuto). Altra cosa è una ragazza giovane, sola; non funziona sovrapporre tutte le buone volontà, i discorsi di parità di genere, ecc. Con il virus ogni nostro aspetto ‘personale’ è stato toccato, ancorché ognuno sia stato rinchiuso (sequestrato)…… Buone riflessioni. MV
Grazie. Da agnostica, condivido ogni parola. Io sono felicissima che sia tornata. Intanto. Poi, spero che il tempo illumini. Lei e noi.
Condivido il tuo articolo che si riassume nelle quattro parole “rispettare le sue scelte”.
Poi possiamo guardare e commentare la vicenda per lungo e largo ma con profonda consapevolezza, facendo un esame di quale sarebbe sarebbe stato il nostro comportamento se fosse accaduto a noi vivere un’esperienza così terribile.
Allora smettiamola con le critiche e soprattutto smettiamola di godere del “male” altrui.
Capaci solo di sputare tanta violenza.
Non c’è affatto asimmetria tra il nudo politico delle Femen e l’uso politico del velo perché, come si diceva un tempo, il corpo è politico. La vita di Silvia vale più di tutto, primum vivere, sempiterna lezione laica, ma la vita non è mai neutra e ci costringe a interrogarci sul senso dei simboli che l’accompagnano.
Condivido appieno questa analisi del tutto pacata ed equilibrata dell’intera vicenda, in netto contrasto con quanto si “vomita” sui vari social e ora anche sulle nostre TV. Vorrei aggiungere tuttavia una riflessione: se è vero che il riscatto pagato, sembra di 4 milioni, servirà al gruppo criminale islamico per portare avanti la sua guerra “santa”, con l’immancabile corollario di morti e feriti innocenti, non sarà il caso per il prossimo futuro di vietare ai nostri volontari di recarsi in zone classificate pericolose dal nostro Paese?
Splendido articolo. Da sottoscrivere ogni parola.
Concordo completamente con quanto scritto e sono portato a ritenere che sia un chiaro riscontro della “sindrome di Stoccolma”.
Grazie Cinzia, è bello leggerti e poter apprezzare l’equilibrio e la serena laicità del tuo pensiero. Complimenti. Un abbraccio
Grazie, cara Cinzia, del tuo contributo così utile ad inquadrare questo “fatto pubblico”, perché di questo si tratta, lo vediamo con i nostri occhi. Ci poniamo anche delle domande: Come mai i nostri media hanno dato e continuano a dare tanto rilievo a questo arrivo così scenografico, facendo il gioco di chi la teneva prigioniera ? Che questa specie di “recita” in costume sia stata la condizione posta dai sequestratori per la restituzione di Silvia ? Quanto tempo impiegherà questa ragazza a riannodare il filo dei suoi pensieri, a rivivere con obbiettività un periodo così tortuoso ? A meno di vicende personali e umane che solo a lei devono restare note, il lungo periodo di costrizione penso abbia consentito di trasmettere a lei una svolta nelle sue idee. E proprio perché odio ogni forma di fondamentalismo, con questo non intendo dare una connotazione negativa al fatto in sé. Resta da considerare però che qui, e ora, si troverà a vivere in un ambiente che la porrà in una condizione alquanto impegnativa, lo stiamo già vedendo.
Ma questo è un altro discorso, è cosa che potrebbe capitare a chiunque di noi.
D’accordo con te Cinzia. La componente politico ideologica del comportamento di Silvia è evidente. La sua coscienza invece non è in questione e va rispettata.
Mi chiedo come mai l’obbligo di non assembramento (ancora in vigore) in questa occasione, non solo non sia stato fatto rispettare ( dalle stesse forze dell’ordine, lì presenti, che fino a una settimana prima erano costrette a inseguire e perseguire singole persone ree di aver violato la quarantena senza valido motivo) ma non sia stata nemmeno fatta notare da nessuno questa particolarissima “eccezione”.
Come sempre leggere i suoi articoli, mi è capitato purtroppo poche volte, è un piacere puro , una suggestione continua, uno stimolo ad osservare le cose dalla giusta angolazione: senza quelle distorsioni ideologiche che ormai accompagnano anche i più semplici gesti quotidiani. Brava
M Non so se è irrealistico ciò che sto per affermare, ma mi è venuto il sospetto che Silvia Romano possa essere ancora sotto ricatto dei suoi ex carcerieri. Se costoro le avessero detto che se lei non si convertiva , sarebbero tornati nel villaggio dove lei ha prestato la sua opera per compiere una feroce rappresaglia contro quella popolazione, ciò potrebbe essere stato un motivo molto forte per portare Silvia a dichiararsi musulmana e ad ostentare così quella scelta . Ripeto che la mia èì solo una ipotesi , ma non mi sembra del tutto impossibile.
GLI SCIACALLI E SILVIA ROMANO
“PRIMA VENGONO LE COSE, E POI I LORO NOMI”
PRIMA SI FORMA, CON L’ACCUMULO DI MILIARDI DI SINAPSI, LA COSA CERVELLO DELLE BESTIE, DI ESSERI UMANI COMPRESI, POI IN ALCUNE SPECIE VENGONO IL PENSIERO …. E IN NOI UMANI ANCHE QUEL PARTICOLARISSIMO PENSIERO CHE È LA COSCIENZA DI SÈ.
POI, MOLTO POI, DA TUTTO QUESTO SONO STATI INVENTATI GLI DEI.
RISPETTO ….. provo a spiegare il mio sentire.
RISPETTO si deve all’altro da noi, indipendentemente che la pensi come noi o diversamente. E sì può portare rispetto senza rinunciare a portare all’altro da noi le critiche più aspre.
RISPETTO si deve anche a noi stessi.
Nel mio caso mi trovo a portare rispetto per il dispiacere che provo all’evidenza dell’esistenza di cento religioni e cento “Dii”.
Capisco bene che nei secoli, facendo leva sulla “religiosità” implicita nell’umano, si sia costruito anche un pensiero alto.
Nato sotto l’egida dell’impronta cattolica, mi sono fatto convinto che ogni Dio è frutto del pensiero umano, quello che scaturisce dai miliardi di sinapsi che si sono ammucchiate nella nostra scatola cranica, e che il male che tutte le religioni e le fedi producono, è di gran lunga superiore al corrispettivo bene.
Per questo il mio rispetto per la persona Silvia Romano e la com-passione che provo per quanto ha patito, si accompagna ad una mia profonda tristezza per le ignobili speculazioni sulla sua dichiarata conversione da una religione all’altra, e pure tristezza per lei che ne è protagonista.
E chiedendo perdono per la prolissità aggiungo …..
TRISTEZZA SENZA FINE
La vicenda di Silvia Romano è tragicamente rappresentativa del mondo demente e vigliacco che abbiamo, come specie , costruito.
Lasciata da sola e facile preda di fanatici prima, lasciata da sola per diciotto mesi ad affrontare una situazione inimmaginabile per chiunque, e lasciata da sola oggi, ad affrontare sia una solidarietà facile da risolvere con un applauso sotto casa, sia l’ostilità più becera e ottusa.
L’espressione non è mia, la rubo a P.P. Pasolini che l’ha messa su carta ormai mezzo secolo fa ….. siamo in presenza di ….
“un uomo vuoto”.
Buoni e cattivi, colti ed ignoranti, il sistema marcio che ha “prodotto” 7 miliardi di viventi e se ne vanta, ha partorito …..
“un uomo vuoto”.
Ci vorranno secoli per selezionare qualcosa di meglio, e potrebbero essere viventi di un’altra specie.😥😥
Il colore verde del “Jilbab”, “il bikini e il Burkini” (ganza questa rima)… Son questi i seri problemi simbolici, via. Signora giornalista, io domando di che “colore simbolico” sia la giacca o la cravatta cristiana di chi produce e vende ai sauditi le armi che poi Al’Shabaab e gli altri gruppi hanno in mano. Questo sì mi turba, sinceramente di più che non la conversione di Silvia
Non vedo perchè l’importanza dei temi da lei segnalati debba escludere la rilevanza di quanto scritto dalla signora Sciuto.
Che il peggior stato canaglia del mondo (l’Arabia Saudita) sia l’alleato principale del primo stato canaglia (gli Usa), nostro padrone, non dovrebbe neanche stupire in realtà, ma una seria riflessione ci vorrebbe sono d’accordo.
Detto questo, tornando on topic, personalmente penso sia una grande sconfitta per chiunque creda nell’umanesimo quando una donna si lascia irretire da una delle due sette più ginofobiche che infestano il nostro pianeta (l’altra ovviamente è il cristianesimo, soprattutto nella versione cattolica) .
Se la conclusione implicita è che malissimo hanno fatto a fotografare l’arrivo, io sono perfettamente d’accordo, tanto più che il commento di un telegiornale è stato che l’operazione è riuscita perché la stampa ha accettato di non pubblicare niente sulle trattative.Il problema è che sono stati i politici a volere lo show, il loro show. e quindi hanno avvertito mari e monti perché l’arrivo fosse pubblicizzato.Bisognerebbe trarne qualche insegnamento. La cooperazione andrebbe permessa solo per strutture(penso a Medici Senza Frontiere).Persone sottoposte ad “esame” prima di partire Non si può permettere a singoli/e di andare alla ventura Non è un gioco. Bisogna saperla fare, la cooperazione, conoscere le difficoltà ed essere preparati e giudicati sufficientemente forti per affrontarla.O sbaglio?
Grazie per questa analisi lucida, razionale e necessaria.
Cinzia, credo che la ragazza, dal suo arrivo non sia mai stata sola nel vero senso della parola, con i suoi o con sé stessa, per esaminare la propria posizione politica, oggi. Credo anche che la sua forza, la sua voglia di vivere le abbiano suggerito la strada da intraprendere senza porsi tante domande e indirettamente fare un favore ai suoi sequestratori, ma salvando se stessa adesso e anche quand’ era ancora nelle loro mani. E me ne guardo bene dal giudicare. Penso anche alla nascita di questi gruppi nati anche con la collaborazione, nostra, occidentale per una certa funzione cd. geopolitica.
Ottimo commento ad una vicenda che giustamente inquieta.
Ho sospettato tutto quello che ho letto qui, pur senza essere un esperto, dal momento in cui ho visto la pantomima del suo arrivo. Ora questo ottimo articolo mi dà conferma di quello che pensavo e di ciò che chiunque, avendo un minimo senso critico, poteva intuire.
Cara Cinzia,
nei tuoi scritti trovo sempre un pensiero al quale non avevo pensato.
Leggo, mi fermo, e dico :..ma che bel pensiero…” Sorrido e sto bene perchè tu lo hai scritto e io lo posso condividere.
Sei per me una grande ricchezza e di questo ti ringrazio.
Concordo con quanto dici, ma sono allibita dai numerosissimi commenti di odio che sono stati rivolti a lei, al mondo della cooperazione in genere, ma soprattutto alla sooperazione femminile.
Cosa sta diventando il nostro paese?
Perfettamente d’accordo con l’articolo. Ovviamente, quando si tratta di salvare una vita umana, non va fatta alcuna distinzione nei confronti di appartenenza politica, etnia o religione. Detto questo, ipotizzare qui la classica Sindrome di Stoccolma non deve essere considerata una bestemmia. E sinceramente, da convinta agnostica, trovo sempre più inaccettabile l’uso dei due pesi e delle due misure: da una parte giusto attacco al fondamentalismo cristiano della destra, dall’altra continue giustificazioni quando si parla di islamismo, religione altrettanto (se non di più) antifemminista e omofoba.
mi dispiace,,…ma questo post non mi ha aggiunto o tolto nulla…quindi inutile per me.. mi aspettavo qualcosa di piu’ “graffiante” una presa di posizione una tua considerazione..cordialità piero
Cinzia sei, come sempre, straordinaria. Ti voglio in Parlamento.
No, in parlamento no.Si rovina!!!
Sono sostanzialmente d’accordo…
visto come stanno andando le cose su questa terribile vicenda, dico a silvia che sarà più duro il rientro a casa che la prigionia stessa…….spero ardentemente di sbagliarmi, ma l’inizio è allarmante!!
Sono d’accordo con l’analisi accurata della vicenda da parte di Cinzia, mi permetto di aggiungere anche una mia considerazione che riguarda un aspetto della liberazione di Silvia che forse ha avuto un suo peso. Pare che il ruolo della Turchia di Erdogan sia stato piuttosto importante in questa vicenda, non escluderei che parte della “sceneggiatura” sia stata imposta proprio da loro.
Grazie
Non invidio chi si assume la responsabilità di compiere analisi così impegnative, riguardo a una vicenda di cui ignoriamo forse tutto, o quasi. O della quale non dovremmo dare, per conosciuto e scontato, niente di niente. Personalmente, mi atterrei al vecchio motto: un bel tacer, non fu mai scritto.
Parlano fin troppo, e per nostra vergogna e disgrazia, i propagatori di odio.
Chiedo prudenza, tanto più se in questione è, non solo il passato, ma il destino futuro di una donna poco più che ventenne.
mi sembra che ci stiamo comportando con il caso Silvia come per il caso Corona Virus: non sappiamo nulla ma vogliamo ugualmente dare pareri, prendere posizione. I ricercatori stanno indagando sui misteri del virus, addetti ai lavori cercheranno di fare luce sul “caso Silvia “. Silenzio e pazienza sarebbero utili
Condivido l’ analisi. Aggiungo che sarebbe opportuno riflettere in maniera approfondita sul volontariato e su quale sia l’ effettiva conoscenza dei contesti in cui si va ad operare. Come sappiamo la storia, la cultura,la lingua sono strumenti essenziali per orientarsi in un paese distante. Ad esempio, tra le tante domande che mi vengono in mente: il corano che e’ stato dato a questa ragazza e’ in arabo? Quale versione del testo le e’ stata fornita? E stata in grado di comunicare con i suoi rapitori? Se si’, in quale lingua? Il tempo forse chiarira’ alcuni contorni di questa vicenda drammatica che in ogni caso rivela per l’ennesima volta le falle della nostra societa’.
ottimo Cinzia; anch’io però condivido un piccolo sospetto che precipita a un livello insopportabilmente meschino la vicenda; noi (gente comune) non ci pensiamo nemmeno ma Erdogan ha il dente avvelenato con noi europei: come uno spasimante respinto ci odia e quando potrà cercherà sempre di procurarci sofferenze: è un classico di certi uomini
Non so se e quanto Silvia Romano sia consapevole del valore simbolico del suo abbigliamento. Tantomeno della strumentalizzazione che, da fronti opposti, ne sarebbe sicuramente nata. Ingenuità o intenzionalità? Certo che la sua scelta, come dice giustamente Cinzia Sciutto, concorre a mantenere il dominio delle concezioni religiose dell’integralismo islamico, in forma di propaganda, a tutto discapito della lotta per la costruzione di una cultura autenticamente laica.
Quella che lei chiama l’afasia e il vuoto del “rispettiamo le sue scelte” per me ha tutta la profondità del silenzio. Perché un ritorno a casa e il riabbraccio con i propri cari meritano proprio questo, che gli altri si discostino e facciano vuoto attorno per permetterti di ritrovare un’intimità coi tuoi cari che da tempo non avevi, e che non sapevi se avresti potuto riavere. La strumentalizzazione, anche quella che lei chiama del “pensiero critico”, cioè il “suo punto di vista”, dovrebbe avere la capacità di farsi da parte di fronte a questo … altro che farsi spazio additando gli uni e gli altri.