Un finto rispetto che nega i diritti
di Antonio Carioti, da “La Lettura del Corriere della Sera”, 14 ottobre 2018
Viene prima l’autonomia dell’individuo o l’appartenenza etno-religiosa? È un dilemma che credevamo di aver risolto in Europa attraverso la laicità dello Stato. Ma la ripresa degli integralismi religiosi e soprattutto l’immigrazione di fede islamica stanno rimettendo tutto in discussione, con il pericolo che si arrivi a «trattare i diversi gruppi come comunità separate» anche in omaggio a un malinteso rispetto per le culture dei Paesi poveri minacciate dall’omologazione al modello occidentale.
È la questione sollevata con molte buone ragioni da Cinzia Sciuto nel libro Non c’è fede che tenga (Feltrinelli, pp. 188, € 20): un’arringa in difesa dei diritti umani universali contro l’idea che si possano accettare in uno Stato democratico giurisdizioni distinte secondo criteri confessionali, tipo i tribunali che già adesso in Gran Bretagna applicano la legge islamica nel campo dei rapporti famigliari.
Valide in linea di principio, le posizioni di Cinzia Sciuto peccano forse nell’ipotizzare una separazione netta tra politica e religione, di fatto inestricabili, e nell’indicare un ideale astratto d’individuo autonomo che non si dà nella storia, dato che ciascuno di noi è il prodotto di un retroterra famigliare, culturale, spirituale. Tra i diritti dell’uomo c’è anche quello di professare e propagare una visione del mondo: il criterio della laicità resta utile per combattere le pretese eccessive in questo campo, ma c’è un’area d’inevitabili compromessi non facile da delimitare.
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