INTERVISTA SU “LA REPUBLICA-GENOVA”

Cinzia Sciuto: “Fede e identità non vanno insieme Servono diritti uguali per tutti”
di DONATELLA ALFONSO, la Repubblica-genova, 24 novembre 2018
Dare un’importanza eccessiva alle religioni come elemento di identità dei popoli non è solo sbagliato, ma assolutamente controproducente, anche quando si parte con le migliori intenzioni del multiculturalismo. Un’affermazione non semplice quella di Cinzia Sciuto, firma di MicroMega di cui si svolge il Festival in questi giorni a Palazzo Ducale, studiosa di filosofia, impegnata su diritti civili, laicità e femminismo, che al tema ha dedicato un libro controcorrente, “Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo” presentato in questi giorni a Genova, nell’ambito del Festival.
Sciuto, come si è arrivati, in una società prevalentemente laica, a contrapporre di nuovo le religioni, il cristianesimo come argine contro l’islam e come unica identità, ad esempio?
«Secondo me il problema è questo, si sta svuotando il religioso della dimensione religiosa e lo si carica di quella identitaria. A prescindere dal contenuto di fede, è dato per scontato che ci si riconosca nell’appartenenza religiosa, e non è nemmeno messo in discussione da nessuno».
Ma il rispetto delle religioni altrui è considerato un passaggio fondamentale nell’integrazione: chi non lo accetta passa da sovranista, non ha avuto paura a prendere questa posizione?
«Io lo vedo non come un dato di fede ma come elemento culturale tra i tanti. Metto in discussione la deriva identitaria, la pretesa di trovare un orizzonte culturale univoco e pacifico che ci descrive e che in qualche maniera va difesa da attacchi esterni come la fortezza europea di stile reazionario. Questo lo combatto: ma anche l’approccio multiculturalista che dice ‘facciamole convivere senza che si facciano male l’una con l’altra’ e magari chiudendo un po’ gli occhi.
Una valutazione che ha dei limiti perché non considera le contraddizioni interne e quei monoliti che io definisco essenzialismo, quelli senza i quali pare non si possa fare a meno».
È il caso della polemica infinita sull’uso del velo islamico?
«Certo, la questione del velo è una cartina al tornasole. Non è che di qua ci sono ‘loro’, tra virgolette come il ‘noi’, voluto da tutti. e di qua ci siamo noi che contrastiamo questo uso. Ma non è così: nel mondo musulmano tante lo mettono in discussione come in Iran, non solo l’obbligo, ma anche il senso, il significato e il valore religioso. In Francia, dove è vietato a scuola come tutti i simboli religiosi, non è che sono brutti e cattivi contro le musulmane. Sono semplicemente i laici che lo sono contro la chiesa, il loro avversario originario; poi se si inseriscono nuove religioni lo stato francese laico non fa sconti».
L’esatto contrario di quanto si sta vedendo in Italia con la reintroduzione del crocifisso nei luoghi pubblici..
«È una risposta reazionaria e identitaria in questa società eterogenea. Io sono italiana e nessuno può negarmelo, ma sono atea e mi riconosco nel crocifisso perché violi la mia identità. Si può essere credenti profondamente laici, che però ritengono che lo stato debba essere neutrale e lo spazio pubblico libero da simboli religiosi».
Quindi: condanna del multiculturalismo?
«Benissimo la diversità, i colori, le tradizioni. Tranne quando ci sono di mezzo i diritti. Il pluralismo dei diritti non è bello: tutti devono avere gli stessi, nessuno si sognerebbe di difendere sistemi giuridici che tutelano il lavoro minorile, tanto meno i diritti civili e quelli delle donne: inaccettabile accettarli in nome della diversità».
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